APPROFONDIMENTI: Sanremo Art & Comics: ecco tutte le mostre

Sanremo Art & Comics: ecco tutte le mostre

A Sanremo Art & Comics sono previste diverse mostre, da Diabolik al mondo Disney, passando per Bernet e Scozzari.

Di: Redazione ComicArtCity | Pubblicato il:02/08/2016


È molto difficile dare un’idea anche solo approssimativa della ricchezza strabiliante di storie, immagini, icone, stili grafici e suggestioni che il fumetto ha saputo produrre in oltre un secolo di storia. Tuttavia la manifestazione Sanremo Art & Comics, che quest’anno celebra la sua prima edizione, almeno un’idea vuol provare a fornirla, e per farlo ha messo in campo la passione e la competenza di alcuni professionisti fra i più apprezzati nei rispettivi settori lavorativi.
Una passione e una competenza che si sono tradotte innanzi tutto nell’allestimento, per la cura di Sergio Pignatone e del direttore artistico Giuseppe Pollicelli, di sette grandi mostre espositive, ognuna delle quali mira a illustrare nel modo più esauriente possibile uno dei tanti tasselli dell’immenso mosaico costituito dal fumetto, una delle forme di espressione che più hanno inciso nella storia intellettuale e sociale contemporanea ma la cui rilevanza culturale - malgrado gli indiscutibili passi avanti compiuti di recente - non è ancora stata pienamente compresa e riconosciuta.
A questo processo di legittimazione Sanremo Art & Comics vuole dare il suo contributo, e il principale strumento con cui intende portare avanti tale operazione sono proprio queste sette ampie retrospettive che si concentrano ciascuna su un differente aspetto dell’arte fumettistica.
Vediamo nello specifico tutte le mostre.


Da Diabolik a DK L’evoluzione grafica del personaggio dalle origini alla nascita del suo “altro” 
Organizzata dalla casa editrice Astorina, documenta le mutazioni di Diabolik attraverso l’esposizione di tavole originali e numerose riproduzioni a colori.

Di questo personaggio si può ben dire che non ha bisogno di presentazioni. È una frase fatta, certo, ma di rado è apparsa più appropriata. Lui è Diabolik, il malvivente in calzamaglia nera la cui icona è forse la più potente e riconoscibile tra quelle partorite dal fumetto italiano. Per tacere del suo nome, tanto celebre da essere divenuto un sostantivo che i mezzi di comunicazione utilizzano spesso per riferirsi a un ladro. Creato nel 1962 dalle sorelle milanesi Angela e Luciana Giussani, Diabolik è da oltre cinquant’anni, soprattutto grazie al suo collezionatissimo inedito mensile dal formato tascabile, un intramontabile successo editoriale, costantemente fedele a se stesso eppure capace di aggiornarsi e di captare le nuove aspettative del pubblico. Il parco di autori che si sono succeduti nella realizzazione delle storie di Diabolik è ampio ed estremamente prestigioso, e se fra gli sceneggiatori che hanno affiancato le sorelle Giussani, raccogliendone poi il testimone, figurano nomi come quelli di Mario Gomboli (anche direttore editoriale della casa editrice Astorina), Patricia Martinelli, Tito Faraci e Lorenzo Altariva, lo staff dei disegnatori annovera veterani tuttora attivissimi come Enzo Facciolo, Sergio Zaniboni e Angelo Maria Ricci, e autori più giovani che però sono già da tempo firme importanti e riconosciute, da Giuseppe Palumbo a Giuseppe Di Bernardo, da Paolo Zaniboni (figlio di Sergio) a Matteo Buffagni, quest’ultimo da alcuni anni apprezzato copertinista della serie inedita.
A riprova dell’attenzione riservata al mutare delle tendenze e dei gusti dei lettori, la casa editrice Astorina ha di recente lanciato in edicola una miniserie di quattro numeri a colori (di 72 pagine ciascuno e dal formato più grande rispetto a quello consueto di Diabolik) il cui protagonista è DK, una versione alternativa del Re del Terrore caratterizzata dallo stravolgimento dei ruoli dei principali personaggi della saga (a cominciare da Eva Kant), dalla modernità dei disegni e da sceneggiature serratissime e dinamiche.
Anche in questo caso, un valore aggiunto è rappresentato dalle magnifiche copertine di Buffagni, nella circostanza felicemente cimentatosi con una suggestiva tecnica “pittorica”. E a conferma della popolarità sempre eccezionalmente elevata del Re del Terrore, sarà il caso di ricordare che è attualmente in lavorazione una serie televisiva in dodici episodi a lui dedicata che verrà trasmessa da Sky: si tratta di una ricca coproduzione che coinvolge l’Italia, l’Inghilterra e la Germania e che potrà contare, fra l’altro, sulle scenografie del tre volte premio Oscar Dante Ferretti. 

Giorgio Cavazzano, una vita tra i paperi  
Una ricca personale dedicata al più importante disegnatore Disney vivente. 

Gli autori più grandi, specialmente nell’ambito delle arti visuali, sono quelli che riescono a creare, per mezzo delle proprie opere, un canone stilistico che li renda immediatamente riconoscibili, facendo di loro dei punti di riferimento per tanti altri disegnatori. Per comprendere la straordinarietà di Giorgio Cavazzano, nato a Venezia nel 1947, sarà utile riflettere sul fatto che a lui questa difficilissima operazione è riuscita cimentandosi con un universo dalle regole già in gran parte prefissate e, almeno fino al suo avvento, anche abbastanza rigide: il microcosmo del fumetto disneyano. Come ha ben notato il critico Enrico Fornaroli, Cavazzano ha portato a compimento «un difficile innesto fra la tradizione del cartooning statunitense, tutta giocata sulla simulazione deformata dell’umanità in un universo animale, e la grande scuola franco-belga che predilige la deformazione parodica del reale».
Dopo avere a lungo inchiostrato le tavole di Romano Scarpa, che può essere considerato il suo maestro, Cavazzano ha iniziato a disegnare in proprio - a partire dalla fine degli anni Sessanta e su testi di alcuni tra i migliori sceneggiatori italiani - un gran numero di episodi con protagonisti i personaggi della Disney. Immettendo nel mondo di questi ultimi le influenze grafiche di fondamentali artisti del fumetto come Moebius e Sergio Toppi, ma soprattutto l’esplosività e la forza cinetica del creatore grafico di Asterix, il formidabile Albert Uderzo, Cavazzano ha saputo diventare un modello pressoché imprescindibile per tutti coloro che, dopo di lui, hanno scelto di misurarsi con i caratteri disneyani e in particolar modo con i paperi.     

Bruno Bozzetto. West and Soda 
La celebrazione, a mezzo secolo dalla sua uscita, di un capolavoro del cinema d’animazione, l’arte che intrattiene i più stretti rapporti di parentela con il fumetto. 

Nato a Milano nel 1938, Bruno Bozzetto dimostra precocemente una grande passione per il disegno e per il cinema, la qual cosa lo porta fatalmente a interessarsi al cinema d’animazione. Dopo avere realizzato a soli vent’anni il suo primo cortometraggio, nel 1960 fonda la Bruno Bozzetto Film e da quel momento la sua attività si dipana su due binari distinti e complementari, quello della pubblicità televisiva e quello dei film a soggetto, con la prima che sovente crea le condizioni economiche per finanziare i secondi. È nel 1965 che Bozzetto, imponendosi in questo modo come uno dei più grandi autori europei di cinema d’animazione, realizza dopo averci lavorato per tre anni il suo primo lungometraggio, West and Soda, da molti critici considerato il capolavoro assoluto del cinema animato italiano.
A mezzo secolo (e qualcosa di più) dalla sua realizzazione, questo straordinario film non ha perduto un briciolo della sua freschezza e, anzi, è oggi più agevole di un tempo rendersi conto della sua eccezionalità, che consiste anche nell’avere precorso temi e soluzioni che si sarebbero rivisti in tante produzioni successive, quasi sempre straniere. La storia della dolce Clementina, che cerca in ogni modo di respingere le avances di un bruto chiamato Cattivissimo e che sarà salvata da un cavaliere solitario di nome Johnny, oltre ad anticipare lo spaghetti-western «non somiglia a nulla che si fosse visto in precedenza (non solo in Italia), non avrà alcun epigono e stupisce con i suoi continui spiazzamenti e cambiamenti di registro e di ritmo», per citare le parole dello storico del cinema Paolo Mereghetti.
Il quale prosegue: «È contemporaneamente parodia, citazione, omaggio e rilettura con squarci surreali del western più classico: Bozzetto intuisce l’imminente crepuscolo del genere e lo infetta con trovate bizzarre rendendo comunque omaggio ai suoi maestri: Walt Disney, i cartoon Warner, i giochi astratti di Norman McLaren e le sperimentazioni dello Studio Zagreb».    

Scòzzari Says 
Una retrospettiva su Filippo Scòzzari, tra i fondatori di riviste epocali come“Frigidaire” e protagonista assoluto degli ultimi quarant’anni di fumetto italiano. 

Alla fine degli anni Settanta, per quella che, col senno di poi, assomiglia a una magica congiuntura astrale, è accaduto che alcune delle migliori intelligenze e dei più grandi talenti artistici d’Italia si siano incontrati e abbiano deciso di collaborare. Ne è scaturita, con la nascita di riviste come “Cannibale” e “Frigidaire”, un’eclatante rivoluzione non soltanto nel mondo del fumetto ma in generale nell’ambito delle arti visive. I protagonisti di questa esperienza senza precedenti furono Stefano Tamburini, Massimo Mattioli, Andrea Pazienza, Tanino Liberatore e Filippo Scòzzari.
Nato a Bologna nel 1946, Scòzzari va annoverato tra le maggiori personalità espresse dal fumetto italiano contemporaneo non soltanto per la sua abilità grafica - che gli ha permesso di definire uno stile in cui coabitano la rapidità di esecuzione del vignettista satirico, l’imprevedibilità grafica del fumetto underground e un gusto sfrenatamente pop rilevabile soprattutto nelle opere realizzate a colori - ma in ragione di testi caratterizzati da un uso virtuosistico della lingua italiana, magistralmente adoperata per sortire effetti per lo più di caustica comicità. Tra le opere a fumetti più note di Scòzzari si ricordano l’irriverente ciclo di Suor Dentona, l’adattamento del romanzo “La Dalia Azzurra” di Raymond Chandler e un gran numero di storie senza personaggio fisso ascrivibili a differenti generi letterari, dalla fantascienza all’erotico. Numerosi sono anche i libri in prosa da lui firmati, tra i quali spicca “Prima pagare poi ricordare”, splendida rievocazione degli anni - contraddittori e indimenticabili - in cui si formò e operò il gruppo di “Cannibale” e “Frigidaire”.    

Jordi Bernet. Chiara, Torpedo & Co. 
Organizzata in collaborazione con Stefano Bartolomei, un’articolata rassegna di tavole originali di un riconosciuto maestro del fumetto internazionale. 

Diretto erede della più rinomata scuola del bianco e nero a fumetti statunitense, quella che annovera artisti del calibro di Milton Caniff, Frank Robbins, Alex Toth e Joe Kubert, lo spagnolo Jordi Bernet è autore dalla notorietà internazionale che in Italia ha avuto la possibilità di confrontarsi nientemeno che con Tex Willer. Esattamente vent’anni or sono, nel 1996, è infatti uscito un albo speciale del leggendario ranger bonelliano contenente una lunga storia scritta da Claudio Nizzi in cui Bernet ha fornito l’ennesima conferma della sua incredibile poliedricità.
Con il suo segno scattante, dinamico e nervoso, e le sue esemplari inchiostrazioni, Bernet ha effettivamente saltabeccato con clamorosa disinvoltura, nell’arco della sua carriera, tra un genere e l’altro, spaziando dal thriller all’erotico, dal fantasy al poliziesco, dall’umoristico al già citato western. Particolarmente versato nel tratteggiare la figura femminile, Bernet ha disseminato le sue tavole di flessuose e seducenti fanciulle che in taluni casi hanno svolto il ruolo di comprimarie (come in “Torpedo 1936” e in “Kraken”) e in numerosi altri quello di coprotagoniste o di protagoniste a pieno titolo (“Sarvan”, “Light & Bold”, “Chiara di notte”).
«L’erotismo di Bernet non è mai quello morboso di stampo classico, tipico della tradizione erotica», ha scritto Gianni Brunoro, «bensì un erotismo sempre ilare, fortemente piccante ma nella prospettiva del suo rapporto con situazioni dal registro ampiamente grottesco: storie, cioè, in cui il sesso svolge una funzione di detonatore per i fatti che poi avvengono».         

Karel Thole. Creatore di universi 
Un’antologica del più grande illustratore fantastico di sempre. 

Magari non sono rari quelli a cui, in Italia, il nome di Karel Thole dice poco, ma è davvero improbabile che costoro non si siano mai imbattuti in qualcuna delle strepitose illustrazioni di questo autentico gigante del disegno, e che pertanto la loro fantasia non ne sia stata in qualche modo influenzata. Nato a Bussum, in Olanda, nel 1914, Thole ha lasciato il suo segno indelebile soprattutto in qualità di copertinista (a partire dal 1959) della collana di romanzi di fantascienza “Urania”, pubblicata dalla Arnoldo Mondadori Editore.
Come ha scritto l’esperto Ferruccio Giromini, «l’eclettismo tecnico di Thole ha dello stupefacente: nei sessant’anni di lavoro pieno che ha consacrato all’illustrazione editoriale eccolo svariare dalla matita al carboncino, dai neri di china ai grigi di gomma arabica, da qualche incisione su lastra alle acrobazie dello scraper board (la difficile tecnica di graffiar via segni bianchi da cartoncini preventivamente ricoperti di una patina nera: un metodo in cui pochi possono permettersi di eccellere), per finire con la più tarda policromia delle tempere italiane».
Paragonato a Hieronymus Bosch in conseguenza del suo stile al contempo onirico, gotico e metafisico, Thole (che è morto a Cannobio, in Piemonte, nel 2000, essendosi nel frattempo stabilito in Italia) ha rappresentato con il suo lavoro un vero e proprio spartiacque: l’iconografia e i paesaggi del fantastico hanno conosciuto, grazie a lui, una nuova stagione da cui non sono più tornati indietro e mai lo faranno.         

Top 100
 
La mostra documenta un’importante realtà dell’universo fumettistico, quella del collezionismo, presentando in ordine cronologico i 100 fumetti da collezione che hanno fatto la storia dell’editoria in Italia. 

Raccogliere e catalogare oggetti (francobolli, automobili, film, figurine e ovviamente fumetti) è in fondo un modo per dare un senso alla vita. Non è infrequente, anzi, che la ricerca di un pezzo mancante divenga addirittura lo scopo primario nell’esistenza di un collezionista. E una volta raggiunto l’obiettivo, è facile, se non sicuro, che il collezionista se ne creerà subito uno nuovo, perché troppo eccitante è il ricercare un oggetto raro (e in quanto tale concupito da altri) e troppo gratificante è l’esperienza di trovarlo e farlo proprio. Ma l’attività collezionistica non si riduce al puro piacere privato del possesso e della contemplazione: essa ha in realtà un’enorme utilità pubblica e sociale, perché è solo grazie alle raccolte e alle catalogazioni portate avanti da tanti collezionisti che l’umanità può tuttora accedere a opere e oggetti che sono testimonianza e documento di epoche passate e che, senza i collezionisti, risulterebbero appunto irrimediabilmente perduti.
Il collezionismo di fumetti ha tutte queste peculiarità e a esse aggiunge l’ulteriore piacere della lettura: nella maggior parte dei casi, infatti, a essere bello e interessante non è solo il contenitore, l’involucro, ma anche il contenuto. È il caso dei cento pezzi più rari del collezionismo a fumetti, nei quali figurano personaggi e vicende memorabili, divenuti in taluni casi dei cardini dell’immaginario collettivo nazionale: si va da Tex al Signor Bonaventura, da Topolino a Dylan Dog, da Corto Maltese a Diabolik. Veri e proprio gioielli dell’editoria e della creatività italiane che possono benissimo riuscire nell’impresa di far appassionare al collezionismo anche chi, finora, non ne sia stato sedotto.


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